Mære il corvo
Quando Kâ si svegliò, il pastore era sparito. Al suo posto era rimasta qualche pecora che brucava qua e là dei teneri arbusti. Bortolo si era fidato di lei lasciando il suo gregge incustodito nei pressi di una volpe. La nostra cucciolotta ormai sempre più adulta non pensò nemmeno di sfiorare quelle tenere creature bianche. Le mettevano l’acquolina in bocca solo a guardarle, certo; ma era ben conscia del fatto che nemmeno volendo sarebbe riuscita a catturarne una. E poi non voleva tradire la fiducia del suo nuovo amico, che in cambio della compagnia di qualche ora prima le aveva lasciato un pezzo di pane e due di formaggio.
“Non faresti paura nemmeno ad un agnellino!”
La voce risuonò come una frustata nel tardo pomeriggio della foresta.
“Chi sei? Fatti vedere!”
Disse Kâ, cercando di non mostrarsi intimorita. Fu allora che Mære, il grande corvo del bosco ripido, planò con eleganza sopra la sua testa e si posò su un blocco di calcare lì accanto. Gli agnellini attorno sussultarono leggermente, poi tornarono a brucare conservando un’aria guardinga.
“Allora eri tu a seguirmi! Perché mi stai addosso, che cosa vuoi?”
Il corvo piegò la testa di lato, guardò la volpe con due occhi che sprizzavano arguzia e solo allora riaprì il becco.
“Ti osservo da quando sei entrata in questo mondo di frasche e fronde. Tu sei amica della Fata delle Foglie, lo so. Solo lei manda quanti sono colpiti dalla sventura a cercare rifugio in queste lande desolate.”
“Quale sventura scusa? E poi questi boschi sono bellissimi, carichi di luce e colore.”
“Lo dici ora, perché sei appena arrivata, ma presto ti verranno a noia. Tutto viene a noia dopo un po’.”
E così dicendo, Mære il corvo finse uno sbadiglio.
“Per te ora ogni cosa è un’avventura, una prima volta, un momento di svago. Persino i saltelli che fai per allenarti ti danno un senso di piacere. Come se credessi davvero di poter migliorare! Ascolta il consiglio di un vecchio: smettila di sprecare il tuo tempo cercando qualcosa che non puoi avere e tornatene dalla tua famiglia!”
Kâ si sentì avvampare, prima di vergogna e poi di rabbia.
“Come ti permetti di spiarmi per giorni, di seguire i miei passi e di criticare le mie scelte senza nemmeno conoscermi?”
“Oh, ma io ti conosco piccola volpe della Grande Quercia! Conosco i tuoi dubbi, i tuoi sogni e perfino le tue paure. Posso leggere il tuo pensiero senza sforzarmi più di tanto. Hai dato ascolto a parole di speranza e conforto che hanno il valore della brezza di primavera: ammaliante e profumata, ma non abbastanza forte da dare seguito alle sue promesse di calore. Tornatene a casa, piccola salta-fossi!”
E così dicendo, Mære aprì le ali corvine e spiccò il volo. Passò radente sugli agnellini facendoli belare forte dallo spavento e poi si alzò, entrando nel folto e facendo sì che della sua sagoma scura non restasse nemmeno l’ombra.
Kâ sentiva freddo ovunque, persino alla punta della folta coda: fu allora che capì come anche le parole, se usate con cattiveria, hanno il potere di gelare l’anima.
Restò impietrita per un lasso di tempo che le parve infinito, 15 sprofondando sempre di più in sé stessa. Poi, un suono improvviso e profondo la riscosse.